Polo del «Freddo», negligenze sanzionate dal Tar ma i 5Stelle inventano le «procedure parallele». Il bluff domani sbarca in aula
GUIDONIA – Un «no» dirigenziale (Paolo Cestra) inserito in una proposta di delibera di consiglio; la «procedura parallela» e anomala allo stato dei fatti, arriva domani in aula con l’intenzione di segnare le sorti (politiche) del polo del «Freddo» o piattaforma refrigerata nell’area del Car (Centro agroalimentare di Roma). Un atto le cui omissioni, errori formali e (anche) strafalcioni grammaticali saltano agli occhi. La dimenticanza più grave riguarda l’obbligo vincolante (sentenziato dal Tar del Lazio il 17 luglio 2018) di chiudere la procedura amministrativa aperta dal Comune il 30 ottobre del 2017, rimasta giacente a Palazzo per «inerzia manifesta». Motivo per cui i giudici hanno sanzionato l’Ente per negligenza. Per aver determinato una condizione di «palese illegittimità dell’amministrazione». Condannando i cittadini a pagare le spese legali. Non è tutto: contestualmente il Tar ordinava la chiusura della procedura (una conferenza dei servizi «sincrona» richiesta dal privato secondo procedure di legge semplificate) entro 90 giorni dalla data di notifica; in caso di ulteriore inadempienza, di procedere con l’intervento di un commissario ad acta già individuato dai giudici nella figura del Prefetto di Roma e suoi delegati.
Una strada tracciata e ineludibile che l’amministrazione 5Stelle fa però finta di non vedere. Perfettamente in linea con il detto dell’errare umano ma perseverare è diabolico – per le casse dell’Ente già messe a dura prova da omissioni ed errori degli uffici – ha prodotto al contrario un diniego dirigenziale, confluito in una proposta di delibera, che sbarca in consiglio comunale domani mercoledì 28 novembre. E che sposta impropriamente sul binario parallelo della «procedura ordinaria», richiamata nell’atto dal Testo unico 267 del 2000, la richiesta di variante urbanistica avanzata nel 2017 dalla società Nuova Guidonia Srl per conto della Immostef Italia Srl, affiliata di una multinazionale intenzionata a realizzare una piattaforma refrigerata su sei ettari di terreno agricolo a ridosso del Car.
È il colpo di teatro finale in una vicenda annosa, caratterizzata da paradossi e svarioni amministrativi con conseguenze di natura contabile. L’atto che arriva in aula è infatti destinato a non produrre effetti, se non quelli di marcare un indirizzo politico della maggioranza 5Stelle. Che non chiude la procedura amministrativa già sanzionata dal Tar ma aggiunge nuove spese al conto comunale: quelle relative al compenso da riconoscere al commissario ad acta. Perché un fatto è certo: la conferenza dei servizi «sincrona» non è stata ripresa né chiusa in questi mesi. Così, con evidenti interferenze nella gestione, secondo una logica politica, l’Ente a guida grillina persevera nella linea delle illegittimità caricandone i costi sui contribuenti. Senza che nessuno paghi o pagherà in termini concreti. Sia chiaro: nessuna difesa d’ufficio al progetto in sé, piuttosto il giusto riconoscimento di una procedura normata e attuata, interrotta immotivatamente, e cambiata in corso d’opera con un atto dirigenziale che mette in discussione la certezza del corretto e imparziale andamento della pubblica amministrazione. Grillini docet.
Il Polo del freddo e il raddoppio del Car
L’indisposizione ideologica dei 5Stelle verso l’ampliamento del Car (già previsto dal Piano territoriale di programmazione generale della Regione Lazio) non è una novità. I terreni oggetto d’intervento complessivo, 59 ettari, sono di proprietà di Bartolomeo Terranova e di Angelo Deodati (il consorte di Milly Carlucci). Acquistati nel 1999 attraverso società evolute nel tempo nella Nuova Guidonia Srl, soggetto giuridico all’interno del quale hanno transitato per quote minoritarie anche noti esponenti politici, per la loro naturale collocazione già all’epoca erano destinati a diventare sede di insediamenti industriali legati all’espansione delle attività imprenditoriali del centro agroalimentare. Così, nel luglio del 2014, la giunta municipale di Guidonia Montecelio, con un atto di indirizzo e recependo le prescrizioni regionali di rimodulazione del piano regolatore cittadino, dava avvio al progetto d’insediamento. Con la motivazione di una «rilevanza pubblica» del Polo logistico industriale in termini di opere pubbliche e ricadute occupazionali, individuava la procedura semplificata prevista dall’articolo 8 del decreto del Presidente della Repubblica 160 del 2010 già utilizzata per dare una base al colosso della logistica Bartolini su alcune aree in zona Inviolata. Una procedura normata che affidava alla conferenza dei servizi la trattazione e la conclusione dell’iter di variante urbanistica, con contestuale rilascio del permesso a costruire; uno strumento previsto in quei comuni «in cui non si individuano aree destinate all’insediamento di impianti produttivi o le aree sono insufficienti».
Disastri e conflitti
Su questi presupposti la Nuova Guidonia Srl, il 4 ottobre del 2017 avanzava richiesta di avvio della procedura amministrativa. Il dirigente del Suap (Sportello unico attività produttive), in quel momento Marco Simoncini, il 30 convocava la conferenza dei servizi «sincrona» o allargata richiamando attorno a un tavolo gli enti interessati, Regione Lazio e Soprintendendenza su tutti. Ma la procedura aperta viene subito sospesa per sopraggiunta incompatibilità: la pratica in questione è infatti istruita tecnicamente da Alessandra Piseddu, architetto impegnata nei progetti di Terranova da tempo immemore, sorella del dirigente comunale Paola, all’epoca di stanza all’Urbanistica. Proprio il settore presso il quale la procedura di variante è incardinata. Il sindaco Michel Barbet il 28 novembre, su sollecitazione di Alessandra Piseddu che per prima il 13 solleva il conflitto familiare, firma un decreto e sposta il dirigente alle Attività produttive. Al Suap, l’altro settore dove la pratica è stata inviata. Passano i mesi e il piano resta nel limbo. Congelato. Finché l’11 aprile del 2018 la società si rivolge alla giustizia amministrativa. L’Ente ha lasciato correre oltre i 180 giorni stabiliti dalla legge e facendo maturare i termini del silenzio assenso. Mantenendo una condotta omissiva e di palese illegittimità. To be continued
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